Il ricordo di Cesare Pavese a 70 anni dalla morte *

di Giuseppina DE MARCO *

E’ ricorso, il 27 agosto scorso, l’anniversario di morte di Cesare Pavese, scrittore, poeta, traduttore e critico letterario italiano. Cesare Pavese il 27 agosto 1950, venne trovato morto suicida nell’hotel Roma di Torino, dopo aver inghiottito una dose eccessiva di sonnifero.

Un gesto estremo, celato nelle righe dei suoi versi. Una volontà di morire preannunciata.

“Questo il consunto dell’anno non finito, che non finirò” – scrisse Pavese nel suo diario alcuni giorni prima del suo abbandono alla vita.

Nella stanza dello scrittore, fu trovato un solo messaggio. Sulla copertina di Dialoghi con Leucò: “Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non troppi pettegolezzi”.

E’ incessante, per gli amanti della letteratura, trovare risposta al perchè un genio dell’arte di scrivere, abbia potuto comporre così bruscamente la fine del suo mestiere di vivere.

Forse la politica, la psiche, la letteratura. Forse non esiste un motivo assoluto, ma una catena di eventi che insieme, in una notte afosa di agosto, hanno stretto il collo della sfinita resistenza, per cedere il passo all’oscura e disperata morte.

Neppure il Premio Strega, di alcuni mesi prima, vinto con La bella estate, riuscì a rimpolparlo di gloria per l’avvenire.

Eppure, in ogni sua composizione, si nasconde la più vera tra le verità. C’è in Pavese, una finestra, con la vista sul mare che è sempre pronta all’ascolto del ritmo arreso del mondo.

Un cinico in una società di ipocriti. Cinico come i poeti greci, ma risoluto. Se solo gli uomini ammettessero di avere un corpo, di essere sinceramente carne dalla testa ai piedi, di esporsi al contatto con la terra, senza troppe meditazioni, forse avrebbe potuto realizzare il suo sogno di vivere nudo, nudo e vero.

Cesare Pavese getta l’umanità in un angolo del mondo, schiacciato dal peso di vivere, dalla forza di gravità esistenziale. Espone la nudità, cruda ed essenziale nella sua natura e la trasforma in trame, in poesie, in figure umani nelle quali è impossibile non riconoscersi. D’altra parte, un corpo nudo, esposto al sole, assorbe meglio la verità.

Il cinico risoluto, si batte per il non detto sociale. Definisce il bordello, la vera mortificazione femminile, perchè la prostituta affronta ciò che viene occultato da tutti. ”Sono sempre le donne a soffrire in silenzio, a pagare per tutti”.

Nelle opere di Pavese, risuona forte il ritmo della nudità, delle strade all’aperto, degli uffici pubblici, dei piedi che poggiano a terra per camminare, con la speranza che proprio da qui bisogna ripartire e fondare una nuova società.

A settantanni dalla scomparsa dello straordinario autore, non ci resta che ricordarlo e con il cuore tracimato di ammirazione, ringraziamolo. Cesare Pavese merita il nostro immortale grazie quotidiano.

Se dovessi immaginarlo ora, non lo immagino solo, nella nebbiosa notte, attrappito nella coperta suicida. Immagino Pavese, farsi spazi tra ebbrezze di vita ed esaltamenti di poesia. Immagino Pavese che viene dal mare, come una radice feroce, costretto dagli occhi a fissare mille minuscole meraviglie e salutarci con un sorriso.

Fratello divinamente umano simbolo di un dolore, da te traggo conforto nel silenzio profondo e gioia nei forse dell’estasi. La tua bellezza torna viva, nelle tue cose più dolci.

* autrice

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