EUR_OPA: rischi sistemici o danni collaterali *

di Roberto BEVACQUA *

LA RETTIFICA delle stime di crescita dell’economia europea, e tanto più di quella italiana, prospettano se non scenari di stagflazione quantomeno di brusca frenata. La stessa Confindustria stima che entro la fine dell’estate, circa metà delle aziende ridurranno la loro produzione per la crisi Russo-Ucraina con il relativo caro energia e crescita del costo delle materie prime. L’elevato clima di incertezza si sta traducendo in una generalizzata flessione degli indici di borsa, in un apprezzamento del dollaro sull’euro e lo yen e in un aumento dei tassi di interesse di lungo periodo. L’attuale fase è di profonda incertezza e mina la fiducia nel consolidamento della ripresa post pandemica. Da un lato i segnali che provengono dalle quotazioni finanziarie dei prodotti energetici, dei metalli di base e dei prodotti alimentari indicano che la fase di prezzi elevati sia destinata a perdurare. Dall’altro, emergono segnali trasversali di rallentamento dei livelli di attività industriale mondiale che potranno risultare un fattore di riduzione di prezzo e di rallentamento degli indici di crescita degli scambi. Il rischio di una recessione per l’UE, a causa delle questioni energetiche che causeranno problemi inflattivi già in corso e rallentamento delle ordinazioni sembra molto probabile se non si riuscirà a razionalizzare nel breve termine i consumi, a diversificare nel medio termine le fonti di approvvigionamento e a trovare una soluzione unitaria sulle scelte di lungo periodo tra le diverse fonti di energia alternative modellizzando i percorsi e sostenendoli finanziariamente. La contrazione dei livelli di PIL in quasi tutte le economie occidentali, a iniziare dalla locomotiva teutonica, frena l’esuberante ripresa che si era innestata dopo l’uscita virtuale dal Covid, che oggi sembra ripartire proprio dalla stessa Cina con una nuova variante dell’omicron.

Gli scenari neutri prospettati dalla Banca d’Italia, a seconda della durata del conflitto russo- ucraino, dipingono una situazione di contrazione della ripresa e di crescita inflattiva che potrebbe sfiorare nella peggiore delle ipotesi l’8%.

Se poi dovessimo calcolare gli effetti di un ipotesi shock di stop alle importazioni di gas per l’autunno del 2022, quadro paventato anche dallo stesso Governo nazionale ma ancora troppo difficile da immaginare per ovvie ragioni di tenuta dell’economia e il relativo disagio sociale ma anche e soprattutto per le resistenze dei Paesi a lingua germanica e l’Ungheria, allora la crescita economica italiana subirebbe un tracollo ulteriore, praticamente azzerandosi. Nell’ipotesi però che non ci siano prima dell’autunno interruzioni dei flussi di gas russo, l’Europa dovrebbe ricostituire scorte adeguate ad affrontare la stagione invernale. Su questa ipotesi però non sembrano scommettere i mercati, e in questa chiave si possono leggere i rialzi dei future  sul gas ma anche sul  contratto future del carbone termico Europe, che è asceso di oltre il 10%  in questi giorni. Positiva la tendenza al ribasso dei prezzi spot del petrolio, lontano dai livelli top raggiunti ad inizio marzo, su cui stanno pesando sia il deterioramento della situazione Covid in Cina e l’effetto Evergrande della crisi del mercato immobiliare cinese, sia le dichiarazioni falco della Fed,  con una strategia di riduzione  del tapering, ossia una riduzione di acquisto di bond da parte della Federal Reserve e un sicuro rialzo dei tassi di interesse.

Tutto questo, a ben vedere, si traduce in un costo del conflitto che si sta spalmando sul vaso di coccio europeo, per lo più ancora incapace di operare in maniera autonoma correggendo e attuando scelte di politica estera tali da affrancarsi dal leader unipolare e allo stesso tempo di ritagliarsi spazi di dialogo condizionanti con la Russia e soprattutto ambiti di manovra assertivi con la Cina basati su trasparenza, diritti e condizioni di reciprocità. Anzi la persistente assenza di reciprocità nei rapporti economici bilaterali UE-Cina è un punto foriero di un possibile atteggiamento di una minore apertura da parte dell’EU in futuro, poiché gli investimenti cinesi in Europa hanno continuato a crescere a ritmi sostenuti mentre le imprese europee trovano enormi difficoltà e restrizioni alla partecipazione attiva al mercato e allo sviluppo economico interno della Cina. La globalizzazione che attraverso l’integrazione degli scambi, delle catene del valore, la logistica avanzata e la finanza transnazionale aveva stimolato i flussi di produzione e specializzazione, in questi anni ha garantito stabilità dei prezzi e un ciclo di crescita economica internazionale, intessendo elevati gradi di interdipendenza sistemica delle economie mondiali. Oggi questa stessa globalizzazione sistemica sembra affossare la crescita economica messa sotto pressione dalle sanzioni che hanno disarticolato i flussi commerciali, finanziari ed energetici, generando una spinta inflazionistica e una psicosi dei mercati sempre più preoccupati da un allargamento del conflitto o dalle previsioni di una strozzatura ulteriore degli scambi internazionali.

Quella integrazione dei mercati commerciali e finanziari che ha caratterizzato quest’epoca di inter-sistematicità organica della produzione e delle transazioni sembra ora collassare, esacerbando gli effetti bidirezionali tra paese sanzionato e paesi sanzionatori con effetti di ritorno non sempre calcolabili nel breve periodo. In attesa di un riposizionamento dei rapporti di forza tra superpotenze e Paesi satellite, non solo in campo geopolitico e geostategico ma soprattutto, in futuro, nel quadro geoconomico e geoenergetico, gli effetti delle ritorsioni economiche contra Russia si stanno sostanziando in maggiori costi energetici, soprattutto nei confronti dell’EU che spende il 10% del suo PIL per le fonti di fossili, circa il doppio di quanto spendono gli USA.

Questa debolezza strutturale non può che aggravarsi per ogni peggioramento della crisi Ucraina, generando un aggravio della competitività europea nei confronti della Cina e degli Usa, la prima che può acquistare, con prudenza per ora, energia a prezzi di realizzo e con la moneta che preferisce, giocando su un tavolo verde e con un’ambiguità a volte mascherata a volte eloquente con gli altri 3 blocchi che sembrano non accorgersi di chi sia il vero mazziere. La seconda, gli Usa, essendo indipendente energeticamente dal gas russo, sta avvantaggiando la sua economia attraverso un dumping indiretto sui mercati energetici, espandendo contemporaneamente l’offerta di GNL verso l’UE per attenuare la domanda di gas russo, non assorbendo i costi delle sanzioni e dei rincari dei prezzi delle materie prime a iniziare da gas, petrolio, metalli e prodotti chimici di base.

Questi gli scenari potenziali che la crisi sta generando, squilibri economici, finanziari, sociali, ambientali e geopolitici che arrivano però da lontano. La mondializzazione che ha prodotto un aumento vertiginoso delle esportazioni a partire già dagli Anni Novanta, attraverso la delocalizzazione produttiva delle multinazionali nei paesi che avevano un più basso costo della manodopera e minori regole giuridiche, sia per ciò che riguardava la tutela dell’ambiente che le tutele sindacali, gli orari di lavoro e i diritti in generale, oggi sconta effetti distorsivi che appaiono evidenti a tutti gli analisti. Tutto questo ha portato negli anni a un modello di penetrazione industriale e commerciale che ha favorito gli scambi di beni e servizi, maggiori flussi di capitali e una maggiore circolazione di persone, una elevata integrazione verticale del ciclo produttivo ed aziendale.  Le maggiori agevolazioni fiscali e le più edulcorate semplificazioni localizzative hanno attratto le imprese occidentali in quei paesi che hanno favorito il pattern globalizzato che ha generato in alcuni di loro una crescita dell’occupazione, massicci investimenti in ricerca e sviluppo e una crescita della dotazione tecnologica. Ciò ha prodotto espansione economica e innovazione: è il caso della Cina che ha saputo coniugare una prima fase di attrattività di base unitamente a una seconda di capitalizzazione del trasferimento di conoscenze scientifiche e organizzative, attraverso il suo regime ibrido tra economia di mercato ed economia pianificata, potendo contare su un’organizzazione statuale ancora lontana da processi di democratizzazione e liberalizzazione.

Per altri Paesi la mondializzazione si è trasformata in perdita di autonomia locale, riduzione di sovranità, sfruttamento economico e processi di land grabbing, depauperamento di risorse di base, perdita di identità e un’omologazione culturale che caratterizza sostanzialmente tutto il processo di mondializzazione. Una sorta di rigurgito colonialista che la filosofia Neo-atlantista italiana degli Anni Cinquanta e Sessanta aveva cercato di mitigare contribuendo allo sforzo di emancipazione terzomondista che lo stesso Mattei aveva capeggiato, finendo per scontrarsi con gli interessi di Paesi amici e nemici. Cosa aspettarsi allora da questo frenata dei processi di integrazione globalista divenuti cosi attuali analizzando gli aspetti e gli effetti delle sanzioni alla Russia in attesa di un riposizionamento delle superpotenze nella geopolitica dei prossimi anni.

Certamente gruppi fortemente integrati di nazioni che, culturalmente omogenei, condividono uno stesso sistema di valori, competeranno tra loro per l’egemonia economica, politica, culturale, tecnologica e militare, attraverso un nuovo modo di concepire gli equilibri geopolitici e geostrategici. Un rigurgito neo nazionalista che riordinerà le strategie dei rapporti economici multipolari dei blocchi attraverso riposizionamenti all’interno degli squilibri generati in una escalation d’ispirazione maccartista. L’incremento della produzione di beni dual use, le maggiori spese militari che si tradurranno in un’esplosione delle innovazioni scientifiche per il futuro, ma anche nuove armi che ufficialmente saranno catalogate per l’opinione pubblica come deterrenti per ulteriori conflitti. Competizioni multipolari, che verranno combattute con un’ibridazione spinta tra finanza, economia, cibernetica e I.A, saranno nei prossimi anni il fil rouge non solo per i blocchi geopolitici tradizionali ma anche per le nuove potenze che si stanno affermando sul pianeta, India, Pakistan, Sud Africa, Turchia e Brasile nei vari quadranti regionalizzati.

La maggiore tutela dei perimetri di sicurezza, che L’UE cerca di recuperare dopo anni di letargo, corre parallelamente ai maggiori investimenti sui sistemi di controllo cibernetico e ai maggiori investimenti sui sistemi di ICT ma anche ad una più articolata riflessione sulla sua sicurezza alimentare, ambientale, infrastrutturale e soprattutto politica e sociale.

L’aumentata sensibilità verso la tutela dell’interesse nazionale esige ed esigerà maggiori investimenti nei sistemi di intelligence per fronteggiare gli accresciuti rischi che i processi di digitalizzazione genereranno sul sistema Paese. Le interdipendenze energetiche, farmaceutiche, tecnologiche, cibernetiche e bio genetiche saranno le frontiere su cui si confronteranno i sistemi nazionali e i blocchi geopolitici.

Nuovi nazionalismi e vecchi imperialismi continueranno a fronteggiarsi, chi per limitare lo spazio di accerchiamento, chi per mantenere la supremazia culturale e militare, chi per la supremazia economica, ma uniti tutti nel desiderio epistemologico di conquista e di potere. All’integrazione sistemica di questi ultimi trent’anni che ha generato effetti positivi e distorsioni macroscopiche si rischia di sostituire un nuovo concetto richiamato da un vecchio adagio, quel dividi et impera che lascia presagire tempi difficili soprattutto per un Europa che deve trovare solo in se stessa l’idea di sviluppo e di integrazione politica, recuperando un ruolo centrale ed autonomo sugli scenari geopolitici e geostrategici internazionali.

*Direttore di Krysopea Institute

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