Covid-19: l’Europa sull’orlo di una crisi di … bond

di Roberto BEVACQUA *

In queste ultime settimane tanto si è scritto e molto si è detto sulle capacità di reazione dell’Europa per fronteggiare la crisi sanitaria e economica  generata dal Covid 19. Molta informazione, molta della quale confusa e contraddittoria, tanta disinformazione alimentata anche dagli “specialisti” del web, parecchia disinvolta apologia di quella posizione o di quell’altra tesi partitica come oramai siamo abituati a leggere sui media  o a vedere sulle tv.

Spesso abbiamo sentito dire, e lo abbiamo anche più volte scritto noi stessi, che siamo in guerra, un emergenza planetaria sanitaria lo è ante litteram, cosi come quella economica che si sta alimentando dalle chiusure di ogni attività che quasi tutti i paesi del mondo hanno decretato.

Molte volte nelle sedi di studio delle analisi di intelligence si è rimarcata la definizione di guerra economica che gli Stati da sempre operano accanto ad altre forme di guerra più o meno cruente, ebbene oggi questa guerra economica non solo è diventata planetaria ma ha cambiato aspetto: in attesa che diventi nuovamente canonica e cioè l’un contro l’altro armati, amici e nemici, oggi si sta consumando una guerra economica atipica quella tra gli stati e un nemico invisibile che non ruba segreti industriali, non acquista speculando in borsa i titoli, non crea condizioni di mercato tali da espellere i concorrenti dal business  di riferimento, non si allea in cordate industriali per scalare il proprio competitor, ne usa altri sistemi più o meno leciti di acquisizione per rafforzare il proprio brand o aumentar e il proprio portafoglio. No, questo è un avversario subdolo quanto silenzioso, che ha dichiarato guerra al mondo intero e che annichilisce l’economia  interrompendo le catene di approvvigionamento globale, spezzando le filiere,  riducendo massicciamente la produzione dei beni, distorcendo l’offerta,  comprimendo la  domanda di alcuni beni e allargando a dismisura quella di altri prodotti, destrutturalizzando le esportazioni, con relativa forte  contrazione dell’occupazione, generando crisi di liquidità, fallimenti societari e di aziende , perdita di valore globale, e necessaria  riconversione di molte imprese, solo per citare alcuni effetti e tralasciando quelli naturalmente più devastanti della perdita di vite umane .

Proprio di fronte a tale situazione di guerra sanitaria ed economica gli Stati europei, per circoscrivere l’analisi alla situazione che più ci riguarda da vicino, avendo ceduto parte delle loro competenze all’Unione Europea ma non avendo realizzato  una vera unione politica e sociale, si ritrovano su un terreno pericoloso, stretti  tra la morsa del virus, gli interessi locali che dividono l’idea stessa di unione  e la necessità di agire sotto la pressione delle opinioni pubbliche e quei cittadini che sempre più non capiscono il dettato dei padri fondatori dell’unione con la real politik che in queste settimane evidenzia il vulnus operativo dell’unione a tutela di ogni suo territorio al di la degli interessi di questo  o quell’altro Stato.

Risulta evidente la mancanza di un unione politica, la mancanza di una visione univoca finanche nel sistema e nel controllo dei casi di contagio nelle singole realtà statuali dell’Unione, come da sempre è evidente che distorsioni e differenze nei sistemi fiscali determinano e determineranno distorsioni allocative e concorrenziali tra gli stessi stati membri .

In verità,  come insegna la storia, le accademie e certi ambiti di indagine sugli interessi nazionali, si va alla guerra uniti, con un comando ben strutturato, decisioni chiare e uguali per tutti, rispettate e immediatamente filtrate, con analisi puntuale dei rischi e delle azioni da seguire, a volte modificare, e spesso ritirare ma prese di comune accordo. Ebbene questo non sta succedendo e in verità non succede  neanche in alcuni Stati membri come il nostro dove appaiono sempre più evidenti  le fratture trasversalmente manifestate.

È indubbio però che l’Europa,  nonostante divisioni e ritardi, ha attuato comunque alcuni strumenti a tutela e sostegno delle economie europee e dei cittadini. Il  SURE per finanziare la cassa integrazione, l’azione della banca europea col piano pandemic emergency  e altri strumenti ma la partita si giocherà sul tema del recovery found e degli eurobond per fugare i dubbi di un Europa solo economica e monetaria a trazione teutonica che sostiene la rigidità delle regole- che invece andrebbero allentate -come cardine per la tenuta dell’Unione, sacrificando valori di solidarietà, condivisione e unione, valori ispiratori del Trattato della Comunità.

Si sta giocando una partita nella partita: una nazionale ed una sul tavolo europeo. In attesa che qualcuno vinca sull’uno e sull’altro tavolo ed indichi una direzione non solo per uscire dalla crisi ma per tornare a macinare lavoro, produrre beni, opere pubbliche e nel nostro caso per riequilibrare tutto il nostro territorio rendendo l’Italia intera una rete logistica integrata, una sistema paese del manifatturiero avanzato, un  area turistica globale, un centro di ricerca pubblico privato esteso su tutto il territorio che sia di richiamo per ricercatori e scienziati di tutto il mondo,  evitando la retorica del primato della scienza solo in occasioni di sbandamento della politica salvo poi,  finita la bufera, tornare a investire nella ricerca e nella valorizzazione del patrimonio culturale cifre irrisorie. In attesa di tutto questo il Covid 19 sta azzerando l’avanzo commerciale, bruciando milioni di posti di lavoro e piegando l’economia nazionale ad un futuro incerto in cui nulla sarà più come prima per molti.

Le interconnessioni tra produttori di beni e i fornitori globalizzati, le relazioni funzionali tra reparti allocativi di beni primari e  indotto di semilavolazione rendono problematiche anche le condizioni di riapertura di settori fortemente interdipendenti,  stante anche le asimmetrie temporali dei picchi di contagio e le disallineate azioni di intervento dei singoli apparati statuali . Cosa fare dunque  ritrovate le intese sul tavolo nazionale e superate  le difficoltà di una politica europea  autorevole e condivisa  – si spera – su azioni da intraprendere per il sostegno attuale del sistema economico europeo e a maggior ragione per la ripresa economica post virus. Gli strumenti a disposizione dello Stato italiano  sono tanti, come lo sono quelli più ampi dell’Unione,  ma ciò che manca è il tempo e molti sembrano non accorgersene.

Certamente in campo economico, andrà compreso che ci sono state perdite che non sono più  recuperabili e queste andranno sostenute “ risarcendo” almeno in parte le mancate entrate e i costi sostenuti che necessariamente andranno onorati,  mentre il rallentamento economico dovuto al procrastinamento degli acquisti  dovrà essere sostenuto con ingenti immissioni di liquidità a tassi nulli o quasi. Restano molti problemi relativi alle riaperture di alcune realtà industriali e commerciali ancorate alla gestione dei nuclei familiari stante le scuole chiuse e i bambini e i ragazzi a casa e alle forniture legate agli indotti decimati da perdite non più recuperabili dal mercato e da una mancanza di programmazione sui tempi e i modi  della ripresa .

I bonus e gli aiuti alle famiglie e  alle partite iva scontano un eccesso di burocrazia che in altri paesi sono stati  risolti più pragmaticamente  e velocemente con accrediti sui conti correnti bancari e postali. I prestiti che le imprese potranno richiedere sono troppo condizionati da clausole e istruttorie a posteriori    che rischiano di legare le imprese ancor più di quanto dovrebbero ossigenarle.

Il vero nodo italiano è sempre stato e rimane l’elefantiaco processo decisionale che sperpera risorse, allunga spropositatamente i tempi di approvazione delle decisioni che vengono per questo motivo sempre annunciate con anticipi biblici prima che vedano la luce effettiva e da condizionalità e istruttorie bizantineggianti che ingarbugliano le pratiche rendendole spesso incomprensibili al sistema imprenditoriale, scavando sempre più il solco tra lo Stato e il Paese reale.

Andrebbe dato seguito a un iter semplificato per sbloccare e gestire con un’unica regia commissariale l’enorme bacino di opere pubbliche approvate ma non ancora cantierizzate che servirebbero certamente a dare ossigeno a  molte imprese  e a rimettere in carreggiata il Paese rimasto indietro nei confronti degli altri stati,  sia in termini di digitalizzazione che di infrastrutturalizzazione  materiale. Immaginare un Paese normalizzato in cui tutti lavorino prima di tutto per l’interesse della nazione appare ancora un processo lungo dal realizzarsi, consumato com’è tra mille rivendicazioni di basso cabotaggio e interessi politici di parte, ma dovremmo iniziare a pensare a come trasformare questa crisi in opportunità.

I ritardi nel predisporre adeguate analisi sulla ripresa economica post virus sembrano scontare – in verità non solo in Italia – l’atavica incapacità di pianificazione/programmazione di medio lungo periodo che caratterizza tra l’altro quei governi stretti da debolezze strutturali, legati  al costante focus del consenso e delle scadenze elettorali. Un analisi di intelligence già agli inizi della diffusione del contagio delinea normalmente diversi scenari possibili non solo per ciò che riguarda i rischi per la salute ma anche per quelli derivanti all’economia sia durante la fase di allargamento della malattia ma soprattutto per  la fase di uscita dalla crisi, predisponendo scenari a tempo breve, medio e lungo, analizzando i possibili gap del sistema produttivo e proponendo modelli di sostegno e riattivazione del sistema competitivo nazionale.

Ciò suggerisce una cabina di regia necessariamente corta, tecnico e  politica tesa ad analizzare i mutamenti  degli scenari ma allo stesso tempo di avere già a disposizione modelli di azione per la tutela e il sostegno dei vari settori economici della nazione, di mitigare il disagio sociale e di intervenire tempestivamente con unità di intendi a ricostruire il sistema produttivo e le filiere aziendali colpite, salvaguardando quei comparti di interesse nazionale fin dall’inizio della pandemia. Tutto questo non sembra sia accaduto o sia stato preso nella dovuta considerazione, le resistenze e i contrasti tra Governo e Regioni, il moltiplicarsi di Task force istituzionali, le diverse posizioni degli scienziati a volte troppo presenti sui talk show televisivi  e le difficoltà di definizione di un chiaro e condiviso strumento di azione a livello europeo sembrano aver rallentato la capacità di predisposizione di un modello di uscita e di ripresa economica dal covid 19.

L’Italia è un grande  paese, invidiato prima che criticato, un unicum sul pianeta in ogni ambito lo si indaghi, archeologico, naturalistico, artistico, storico, scientifico, ma tale lascito va coltivato, riscoperto, valorizzato tornando ad investire sui nostri territori pretendendo, dai noi in primis e dall’Europa, quel rispetto che questo paese ha dimenticato di rivendicare, un nuovo rinascimento può esserci come dopo ogni crisi dura da superare ma tale rinascita deve prima consolidare in noi stessi l’idea che siamo un popolo unito, un territorio coeso, un identità culturale economica diversificata che “vive sotto un unico cielo ma con orizzonti  diversi” che devono  convergere verso quell’interesse nazionale che spesso, colpevolmente  trascuriamo .

*Direttore di Eurispes Regione Calabria 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.