Saverio Astorino: “io, insegnante e calciatore”

SAVERIO Astorino un docente in pensione conosciuto negli ambienti sportivi come ex-attaccante del Rogliano e di altre squadre di calcio degli anni Settanta e Ottanta. Nato a Scigliano, antica e potente città regia, oggi paese indebolito dalle carenze infrastrutturali e dal nefasto calo demografico, seguendo le peregrinazioni lavorative del padre, nei lontani anni Cinquanta, ha abitato per qualche tempo a Pedivigliano, a Rogliano e poi, definitivamente, a Santo Stefano di Rogliano, dove risiede tuttora nel caratteristico borgo sottostante al Santuario di Santa Liberata. Come spinto da uno spirito agonistico, che gli ruggiva nel petto sin da piccolo, ha praticato vari sport e, per sedici anni, il calcio dilettantistico. All’età di 52 anni ha disputato l’ultimo torneo di calcetto di quarta serie, con la squadra del suo istituto scolastico. E’ molto legato al suo paese, a Cosenza ed a Rogliano, dove ha frequentato le medie e giocato a pallone. Tracce di memoria dei suoi goal permangono nella generazione dei tifosi nati prima degli anni Settanta. Ricorda di avere segnato le prime sue due reti (dopo essere stato letteralmente buttato in campo) a sedici anni, in una partita giocata fuori casa e vinta dalla mitica e temuta Rogliano.

Di quel periodo, impreziosito da 34 reti in una sola stagione, conserva nella mente e con stima le personalità degli allenatori Aurelio De Marco (Pavese), che voleva inserirlo nelle giovanili di alcune società professionistiche e Luigi Prisco, un verace campano che stravedeva per lui e lo aveva segnalato a diverse squadre. Purtroppo, sembra un paradosso, ma lo studio, in cui otteneva buoni risultati, la contrarietà genitoriale, il carattere un po’ schivo e gli imprevisti dell’esistenza lo allontanarono dall’ipotesi di poter diventare calciatore professionista. Pur condizionato dai primi impegni nell’ambito scolastico, non abbandonò la passione calcistica e, dopo aver militato nella Morrone, nella Rossanese e nell’Acri, ritornò a giocare nel Rogliano, la sua squadra affettiva composta da atleti dilettanti, per modo di dire, giacché alcuni di loro oggi avrebbero potuto ben figurare, quantomeno, nel Cosenza. In seguito, ha coinvolto molti suoi amici (Teobaldo Aloe, mediano di classe cristallina, nonché maestro di centinaia di giovani calciatori, Franco Mancuso, centrale implacabile e tanti altri, tra cui: Gennaro Arcamone, Davide Crispino, Gennaro Convertino, Giovannino Valerio, i fratelli Sicilia, Antonio Ungaro, ecc.) in tornei amatoriali di breve durata.

Negli anni Novanta, una di quelle formazioni vincenti ha più volte primeggiato anche negli impegnativi campionati AICS dell’area cosentina. E’ stato un chiaro riferimento per tanti giovani degli anni Ottanta e Novanta (il cui elenco sarebbe lungo) ai quali ha cercato di inculcare i valori educativi dello sport. Ama la natura dei nostri territori ed è un cultore del ballo di coppia, un’attitudine latente che gli deriva dall’infanzia, quando, in occasione di qualche evento familiare, osservava i suoi genitori ballare, con stile, il valzer ed il tango. Purtroppo, evidenzia l’assenza di locali destinati al ballo italiano, molto diffusi nella gran parte del Paese, di balere orientate verso un pubblico di estrazione popolare; a ciò si unisce il deserto musicale di orchestrine del liscio, che altrove, a centinaia, soddisfano il bisogno di svago della gente comune, garantendo un notevole indotto economico. Avendo più tempo a disposizione, ha ripreso a frequentare i vecchi amici, dimostrando una vicinanza che solo le contingenze professionali avevano frammentato nel tempo. Spesso le sue conversazioni sono focalizzate sull’interesse per il patrimonio ambientale e culturale, riferito ai marcatori identitari distintivi delle nostre Comunità, di cui molti ignorano l’esistenza e l’importanza. Quasi totalmente astemio, si è dovuto piegare alla tradizione enologica ed ora, seguendo l’ortodossia degli occasionali conviti amicali, assaggia di buon grado il nettare rosso del Savuto, ma si limita ad un solo bicchiere, perché delle sane abitudini ha fatto una regola di vita. (R.S.)

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IL TESTO seguente deriva da alcune conversazioni che ho avuto con Gaspare Stumpo, giornalista, direttore responsabile del giornale on line Savutoweb.it e di Radio Hit On Air. Costituisce una sintesi del mio pensiero sul mondo della scuola, di cui ho fatto parte, sui modesti lavori che ho pubblicato e su alcune sfaccettature di criticità afferenti alle nostre Comunità.

Ho insegnato delle materie, le umanistiche, che, per loro intrinseca natura, possiedono un taglio formativo privilegiato e consentono un dialogo aperto con i discenti. Credo di essere stato molto apprezzato nell’ambiente scolastico e, soprattutto, dagli studenti con i quali ho avuto l’opportunità di relazionarmi. Non mi sono mai considerato un insegnante-impiegato, in quanto ho fatto della ricerca-azione una prerogativa della mia mediazione didattica, cercando di adattarla alle più svariate situazioni, secondo una logica dettata dal realismo operativo. Dalle Scienze dell’educazione e dall’esperienza diretta ho mutuato una verità fondamentale: la scuola non è proprietà degli adulti che vi operano, ma degli alunni, che, nel farsi del loro sviluppo, si realizzano come persone”. E’ un principio assoluto, che non dovrebbe mai essere percepito come relativo. Quale seconda agenzia educativa rappresenta un campo d’indagine e d’interesse complesso e dinamico, perché sulle tradizionali costanti si innestano delle variabili, inerenti ai fattori del contesto epocale ed alle caratteristiche delle nuove generazioni. L’istituzione scolastica non è una monade. Si concretizza come una Comunità educante strettamente connessa alla realtà sociale ed economica. Oggi è soggetta ad una mutazione che deve tenere il passo con i bisogni dei settori produttivi e professionali, giornalmente pervasi dalle nuove applicazioni tecnologiche. I profili lavorativi emergenti intersecano, necessariamente, i percorsi formativi e le stesse strategie didattiche, che riguardano diversi fattori: lo stage, l’alternanza scuola lavoro, gli innesti di saperi e linguaggi nuovi, l’utilizzo degli ologrammi, del metaverso e dell’I.A.

     Non v’è dubbio che all’inizio del terzo millennio la scuola non è più la stessa ed all’insegnante viene richiesta una dotazione strumentale molto più accurata e soggetta all’adeguamento metodologico. 

I docenti devono fronteggiare varie criticità: alcune strutturali ed altre in continua implementazione. Il discorso è ampio e problematico, per cui mi limito solo ad alcune considerazioni di ordine generale.
Osservando con meno coinvolgimento emotivo la professionalità degli insegnanti, posso affermare che alcuni di loro nascono tali, altri lo diventano se motivati e disponibili al cambiamento. Vi è, però, chi esercita il ruolo senza coinvolgimento emotivo o con opportunismo, per cui costituisce un punto di fragilità nell’istituzione in cui opera. Credo che il formalismo e la burocrazia incalzante siano come dei virus per la scuola ed uno svilimento del ruolo formativo dell’insegnante: l’emigrazione da una scuola all’altra, le graduatorie d’istituto che non garantiscono la continuità didattica, la stesura di vuote carte, la ripetizione schematica delle stesse procedure, la routine delle inutili, teatrali e tediose riunioni, il depotenziamento del profitto e della funzione educativa della condotta, la promozione di massa, i dirigenti fiscalisti e così via hanno inibito la libertà pedagogica ed hanno spento in tanti docenti l’intimo sentire della passione per l’insegnamento.

 In merito ai miei scritti, genericamente, posso ricordare: la produzione di una grande quantità di documenti e materiale didattico-scientifico all’interno degli Istituti in cui ho insegnato; l’elaborazione di dispense in qualità di esperto esterno. Nel saggio “Dotarsi per insegnare” ho trattato diversi aspetti del rapporto apprendimento-insegnamento, ho proposto idee e ho fornito materiali euristici, tratti dalla didattica fattuale. 

Essendo tra quei bruzi che intendono valorizzare la nostra terra, ho pubblicato due saggi polarizzati sull’amore per la Calabria, la sua natura, la sua identità: “Dal sus domesticus al nero di Calabria”, presentato a Parma nel 2016 da un amico estimatore, che l’aveva sponsorizzato; “Natura e antichi popoli nella valle del Savuto. Brutium, Sabatus, Sturni, Syllanum”, di recente stampa. In particolare, in quest’ultimo lavoro mi sono posto nell’ottica di chi intende recuperare con orgoglio la propria dimensione antropologica e storico-culturale per poterla attualizzare, liberandola dagli stereotipi avversi e stratificati nel tempo. Ciò si può ottenere anche attraverso un virtuoso revisionismo che, con specifico riferimento all’area del Savuto, ponga l’accento sul valore dei miti, delle leggende, della storia, delle opere e delle tradizioni. E’ un’azione che deve partire dalle agenzie educative, istituzionali e associative del territorio, affinché le nuove generazioni prendano coscienza delle loro incredibili e arcaiche radici etno-antropologiche e superino quella sorta di autolesionismo, che sembra caratterizzare la mentalità degli abitanti dei centri a sud di Cosenza e del bacino del Savuto. Bisogna fare di necessità virtù per conservare la remota saggezza e la trasmissione pratica del nostro sapere, che si ritrova ancora in diversi ambiti culturali, come giacimento cui attingere.

 Per quanto concerne le nostre Comunità, senza pretese di analisi antropologiche ed in tutta semplicità, posso elencare degli elementi, peraltro comuni ad altre realtà sociali della Calabria, inquadrabili come fattori di debolezza: l’invidia, la mediocrità, la critica, il campanilismo, la globalizzazione. Mi spiego in breve. 

Le nostre genti dovrebbero emanciparsi da quelle forme d’invidia individuale e sociale che, strada facendo, a partire da un cinquantennio fa, si sono consolidate come stili comportamentali.
Costituiscono dei retaggi di piombo, che frenano l’emersione delle migliori risorse, a vantaggio di una diffusa mediocrità. Si può parlare di una marginalizzazione della qualità che alimenta schemi mentali di stereotipia, atteggiamenti latenti anche nei gruppi istituzionali, associativi e tra pari. Le persone che rientrano nell’acquiescente ed ordinario modello sociale sono sempre accettate, quelle che fuoriescono dagli schemi dozzinali sono attese al varco. Chi, dotato di operosità e creatività prospettica, intraprende delle iniziative o propone delle novità sa, aprioristicamente, di essere soggetto a forme di critica (più o meno palese), se non di ostracismo, a cui, nel lungo andare, risponderà con la demotivazione ed il disimpegno. E’ una modalità sociale che si ritrova nell’identità nazionale, ma nel nostro contesto territoriale è decisamente attiva, giacché non interessa solo la politica e l’imprenditoria, ma anche la cultura, lo sport e il tempo libero. Si spiegano, così, le estinzioni di gloriose società sportive, di gruppi artistico-teatrali e di alcune manifestazioni di notevole rilievo mediatico. A livello amministrativo, sarebbe opportuno rinunciare a qualche egoismo campanilistico per cercare delle sinergie progettuali su una scala più ampia, giacché il territorio necessita di infrastrutture per evitare il degrado ambientale e lo spopolamento, che in alcuni centri è diventato inarrestabile. In un prossimo futuro, anche i paesi più rilevanti (Rogliano, Mangone, Santo Stefano) potrebbero essere marginalizzati nei servizi ed a livello socio-economico rispetto alla città di Cosenza, che si va sempre più saldando con Castrolibero, Rende e Montalto. Fare gruppo, aggregare le risorse naturali, agricole, produttive, culturali, turistiche e integrarle con l’estesa area cosentina, in continuità con la tradizione storica dei casali, ovvierebbe a tale prospettiva. Servono idee e strategie, non localismi minimalisti, per essere un tutto e non una piccola parte dello spazio geografico più rilevante della Calabria Citeriore. Ogni nostro paese è un microcosmo dell’intero mondo, che di per sé è sempre più un villaggio globale, per cui vi ritroviamo una sorta di omologazione delle relazioni e dei comportamenti indotti dai social-media, dai quali può derivare il rischio più elevato: la cancellazione del passato, della memoria. Per questo è auspicabile che le genti del Savuto non consentano l’estinzione della propria identità, rimanendo attaccate alle comuni radici, per trarne anche degli insegnamenti valoriali, quali la solidarietà tra famiglie ed il rispetto reciproco e per far sì che le nuove generazioni non diventino come alberi rovesciati, privi di linfa vitale.

(Saverio Astorino)

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