Giuseppe Pucci, il campione che prometteva di emozionare Rogliano

“MIO PADRE gli regalò una bici all’età di tre anni. Rimase chino per giorni a sorreggere Giuseppe. Poco tempo comunque, per fortuna. Tolse subito le rotelle perché il bambino cominciava a reggersi da solo. Ogni occasione era buona per salire sulla bici, per un giro. Un ultimo giro, chiedeva. Una passione indescrivibile, un amore immenso, viscerale. Esco per allenarmi – mi diceva – e tornava a casa non prima di aver percorso settanta, ottanta chilometri”. Sono le parole di Domenico, il papà del giovane ciclista Giuseppe Pucci (nella foto) venuto a mancare il 12 ottobre 2011. Nell’imminenza del passaggio del Giro d’Italia dalla sua città, Rogliano, il genitore lo immagina tra i professionisti presenti alla Corsa. Perché Giuseppe prometteva bene. E questo fin dal primo giorno in cui è salito in sella alla bicicletta. Occhi allenati “lo videro” sulle due ruote. In una esibizione a scuola, una delle tante attività che si celebrano ad inizio anno. Lui volle provare la bici. Ed è lì che un osservatore della Società Lavorato di Piano Lago (Mangone) ne apprezzò le qualità. “Ritornato da scuola si avvicinò timidamente e mi disse: “papà ti devono parlare alcune persone”. D’impeto gli chiesi cosa avesse combinato ma poco dopo capii che da quell’incontro aveva inizio il suo sogno”. Ogni giorno scendeva in strada per allenarsi. Un’intera famiglia (papà, mamma e sorellina) in viaggio per seguire le sue performances. Attese lunghissime al traguardo. “Ricordo un giorno, in Puglia, durante una gara. Era tra i primi nel rush finale ma dinnanzi a lui due ciclisti tra una sgomitata e l’altra finirono per terra. Dietro c’era Giuseppe. Ebbi paura. Chiusi gli occhi, per me era già rovinosamente giù, ferito, dolorante. Nulla di tutto ciò. Riuscì a saltare con la sua stessa bici i corridori a terra e a tagliare il traguardo, giungendo quinto se non ricordo male. Fu rallentato dall’accaduto ma fortunatamente lo abbracciai indenne”.

Ancora ricordi di Domenico che, fotogramma dopo fotogramma, racconta del figlio sulla bici sfrecciare d’innanzi agli occhi, felice, mai stanco. Giuseppe ha incontrato nomi illustri del ciclismo moderno, Antonio Nibali tra i tanti. Poco più grande di lui, ora professionista. “Lo vide anche il biomeccanico che seguiva Marco Pantani. Gli fece provare una bici. Ricordo ancora le sue parole: perfetto scalatore, mi sussurrò il tecnico conquistato dal suo andamento. Spalle ferme e pedalata decisa, fu il suo commento”. Domenico Pucci avrebbe tanto da raccontare su quel campione che amava tanto, che avrebbe fatto strada (e vinto) perché talento e passione non gli mancavano. Quest’anno la Corsa Rosa passa per il Savuto e tra pochi giorni saranno trascorsi nove anni dall’inizio di quel viaggio che Giuseppe ha intrapreso lungo strade che ora sono tinte di azzurro. Domanico conserva gelosamente ricordi, maglie e persino i guanti indossati dal figlio. Anche la bici che lo avrebbe portato nella sua nuova squadra, nel passaggio di categoria, obbligato. I ciclisti passeranno di fianco ad un murales, dove c’è scritto “cè vo stile”. Lo slogan di Giuseppe, che gli amici hanno voluto imprimere per mano di Paolo Scebba, davanti alla casa. Perché lui c’è e ci sarà sempre.

(Massimiliano Crimi)

Fonte: Parola di Vita

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