Il nuovo gruppo scultoreo di Mangone. Ferdinando Gatto rinnova l’antica tradizione della scuola degli artieri e degli scalpellini *

di Luigi Michele PERRI *

LA STATUA lignea di un lavoratore provato dalla fatica, un’immagine rappresentativa della storia sociale del Mezzogiorno d’Italia e, in particolare, della Calabria, una evocazione del sudore versato da contadini, operai e manovali che, nel tempo senza età, hanno dato sostentamento alla magra economia delle loro famiglie e alla dignità delle comunità nelle quali si sono trovati ad operare. Il monumento “Al Lavoro” campeggia davanti all’ingresso della sede comunale di Cellara. Ne è autore il maestro roglianese Ferdinando Gatto, scultore e intagliatore che rinnova l’antica tradizione della scuola degli artieri e degli scalpellini di Rogliano, rinomatissimi nel Regno di Napoli, soprattutto dal XVI° al XVIII° secolo. L’opera di Cellara non è isolata.

L’artista si è ripetuto realizzando un altro piccolo o grande capolavoro (il giudizio definitivo è affidato ai critici d’arte) della sua tutt’altro che improvvisata produzione, un gruppo scultoreo di tre statue lignee, collocato nella villetta situata all’entrata sud del centro abitato di Mangone, in cima alla bretella di collegamento con la frazione di Piano Lago. Le tre statue raffigurano Re Marcone, al secolo Marco Berardi, vissuto nel XVI° secolo tra Mangone (dove nacque) e San Sisto (nel territorio di San Vincenzo La Costa, borgo della sua formazione, sin dalla più giovane età), la moglie Giuditta, sansistese, e il delatore della sua compagnia di rivoltosi antispagnoli. Il complesso monumentale rievoca una storia leggendaria, poco nota (di cui parleremo nei prossimi giorni su “Savutoweb”) eppure densa di significati che insistono sulla cultura repubblicana del personaggio, per di più difensore della comunità dei Valdesi, rifugiatasi nell’area compresa tra Guardia Piemontese, San Sisto e Montalto Uffugo. Espressivamente le sculture di Gatto ne sintetizzano la vicenda nella forza e nel coraggio del protagonista, nell’amore della moglie e nell’atteggiamento di torvo imbarazzo del traditore.

Ma sulla tecnica realizzativa dell’opera è bene seguire le parole del maestro Ferdinando Gatto:” Il gruppo scultoreo delle tre statue sono stata ricavate da un solo tronco di pino silano, che, alla base, aveva un diametro di 80 centimetri e che ho sezionato in tre parti da 200 centimetri. Ogni pezzo sezionato pesava circa 4 quintali. Ho lavorato in un capannone di un amico, Nello Nicoletti di Figline, che mi ha ospitato e supportato nella gestione e movimentazione dei tronchi mediante mezzi meccanici quali trattori ed elevatori. Ho sbozzato le sculture con una motosega a scoppio, poi, ulteriori tagli con una elettrica apposita per sculture e, quindi, rifiniti con le sgorbie e mazzuolo. Ogni personaggio ha richiesto un tempo di realizzazione di circa 10-15 giorni di lavoro. Le statue sono state volutamente installate all’esterno senza una copertura, perché ho inteso sensibilizzare la gente ad amare il legno, con i suoi pregi e i suoi difetti. Il legno si dilata e si spacca, perché è un materiale vivo. Ha anche bisogno di cure, di manutenzione. Non siamo più abituati a “perdere tempo” con questo tipo di lavori, piuttosto preferiamo materiali durevoli che, una volta sistemati, non richiedano tempo e applicazione. Poi, ce ne scordiamo. In più, ho realizzato un bassorilievo in pietra calcarea, raffigurante una maschera apotropaica, molto in uso nel ‘500 per scacciare gli spiriti maligni. L’ho realizzato a mano con l’antica tecnica degli scalpellini. È stato apposto sulla fontana da me voluta nella villetta. Ho curato, su richiesta del sindaco (Orazio Berardi, ndr), anche il progetto e i lavori di tutto il complesso monumentale. Ho voluto utilizzare sul patio su cui poggiano i personaggi, le pietre della località “Scannelle”, che ricordano non solo la morfologia delle nostre montagne silane, ma anche il carattere rude, ma genuino, dei calabresi. Sullo sfondo delle statue c’è una sorta di trincea in cui verranno piantati degli alberi che fungeranno, appunto, da fondale”. Un bel vedere, a Mangone. Un bel riflettere sulla qualità dei talenti nostrani, mai abbastanza celebrati.

*Giornalista e scrittore   

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.