Ristoratori, verso una ripartenza con tanti punti interrogativi. L’esperienza di Giuseppe Muraca

GIUSEPPE Muraca (nella foto) è un ristoratore, figlio di ristoratori. Opera nella Valle del Savuto. Gestisce una sala ricevimenti che conta circa 450 posti a sedere, aperta da più di vent’anni. Accende le luci, per noi, dopo quasi un anno dall’ultima giornata vissuta tra i tavoli del locale, tra la gente. Le sedie sono accatastate l’una sull’altra, qualche tavolo è in sala ma su di esso solo ci sono solo fogli e qualche bolletta da pagare. Ci parla di riapertura come “salto nel buio”. In questi giorni l’argomento “ripartenza” per il mondo della ristorazione è tema vagliato del Governo. Si apre, ovvio, bisogna immettere ossigeno all’economia “ma con quali certezze?” – confessa Giuseppe, adducendo perplessità a tutta una serie di fattori tra loro collegati. “Far ripartire una struttura del genere significa rifornirsi di derrate alimentari con un congruo investimento. Ripartire significa richiamare in struttura camerieri, cuochi e personale per garantire lo standar qualitativo confacente alle richieste dei clienti. Ripartire significa essere pronti a far godere agli ospiti quell’atmosfera di serenità richiesta per un momento di svago in famiglia o con gli amici. Ripartire significa per me, avere la certezza di non dover chiudere domani, vittima ancora una volta dell’emergenza sanitaria”. Nelle parole del giovane manager, 44 anni il prossimo maggio, la paura di non poter “reggere” difronte ad una situazione altalenante. Di ritrovarsi vittima ignara dell’ennesima chiusura a causa di una nuova escalation di contagi. Chiusura signicherebbe sconforto del personale addetto. Chiusura significherebbe buttare il cibo con scadenza. Chiusura significherebbe l’ennesima “violenza” ad un intero comparto. Ed alla domanda sui giovani sposi e sulle relative cerimonie nuziali la risposta è secca: “non riusciamo a dare certezze. Noi siamo pronti ad organizzare il loro giorno da sogno ma per quanti ospiti e con quale tipo di servizio magari rimanendo in struttura per divertirsi, questo non sappiamo dirlo”. L’argomento trattato nella nostra lunga chiacchierata ci porta ad argomentare sui “ristori” del Governo centrale: “pochi, utilizzati esclusivamente per pagare una parte delle spese vive”.  Ed ancora, degli investimenti della scorsa estate, che a suo dire sono stati “l’illusione di poter immetere denaro nell’attività per riammodernare il vettovagliamento, i servizi di portata. Azione che doveva servire per “aggredire” il mercato. Investimento fatto ma fermo negli scatoloni, mentre l’ennesimo assegno viene portato all’incasso. Investimento frutto di tanti sacrifici che non ha prodotto l’utile, un solo euro “facendo festa”. Muraca parla di quell’accoglienza, gioviale, serena, spensierata che sembra appartenere all’album dei ricordi. Di quel fare ristorazione per la gente, tra la gente. E se ora i titoli di coda riportano la notizia che dal 27 aprile “si può riaprire” a lui non rimane altro che affidarsi all’ottimistica speranza auspicata nei palazzi romani. Che sia la volta buona.

(Massimiliano Crimi)

Fonte: Parola di Vita

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