Benedetto XVI°, ripartire dal cuore e dalla mente*

di Fabio MANDATO*

PRIMA di scrivere qualcosa su Benedetto XVI° ho voluto riflettere, senza lasciarmi prendere dalle inevitabili emozioni che il ricordo di quest’uomo di Dio suscita in chi ne ha letto le pagine e seguito le vicende. Ero in plaza de Cibeles, a Madrid, nel 2011, sotto il sole cocente della canicola estiva, quando, dopo oltre due ore di attesa, vidi passare l’uomo vestito di bianco. Fu un’emozione. E lo stesso in quella notte tempestosa della veglia madrilena, quando Benedetto XVI°, insieme a oltre un milione di giovani, raccolse la benedizione di Dio nella pioggia abbondante. Momenti di Dio, momenti degli uomini. Indescrivibili senza viverli davvero. Alimento del cuore e della mente. 

Dio e l’uomo. Fede e ragione in fondo sono gli strumenti che l’uomo ha per sintonizzarsi su Dio e su stesso, e per indagare nella sua storia personale la presenza di Dio Amore. Le tre encicliche raccontano proprio ciò: le virtù teologali che interpellano direttamente la vita. Ricordo il verde abbondante e il paesaggio quasi edenico della Baviera che, da Monaco, dalla sua Cattedrale, conduce a Marktl, dove si ritrovano i cimeli di Ratzinger bambino. Dall’umiltà di un borgo nascosto della Germania, all’umile e grande ricerca teologica. Se c’è una cosa che però mi ha sempre colpito di Joseph Ratzinger, è la sua semplicità nell’esprimere la verità della fede. La trilogia su Gesù di Nazareth è una preziosa eredità per chi intenda accostarsi alla persona di Gesù tra esegesi, ricerca teologica e spiritualità. Ecco, Ratzinger ha davvero avvicinato esegesi e teologia, che spesso rischiano di confliggere. Ma ciò che più conta, direi per la nostra anima, è che ha unito la preghiera, alimento della vita cristiana, la scrutatio interiore e la scienza teologica per indagare Gesù Cristo, unica salvezza dell’uomo. Quella stessa capacità di confrontarsi con sé stesso e con Dio, si chiama discernimento, che l’11 febbraio 2013 l’ha portato a rinunciare al pontificato. Il gesto di Benedetto XVI°, insieme alla scelta di vivere nella preghiera e nel monastero, è un grande segno per la Chiesa del futuro. Ripartire dal cuore, come insegna Agostino d’Ippona, ripartire dalla mente, come ha sperimentato Bonaventura, per edificare la città di Dio sui terreni franosi delle città degli uomini, spesso troppo utopiche ma sempre redente da Gesù Cristo, via verità e vita. 

* giornalista p.

Fonte: Parola di Vita

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