Crescita strutturale tra ritardi e slanci condizionati nel Sud del Mezzogiorno *

di Roberto BEVACQUA *

LE RECENTI crisi finanziarie e geopolitiche, l’avanzata prepotente di nuovi attori sul palcoscenico mondiale e la crisi pandemica che ancora non accenna a risolversi in gran parte del mondo, ha spinto e spingerà sempre più gli Stati ad assumere un ruolo decisivo nell’indirizzare l’economia, recuperando un ruolo decisivo nei settori strategici, ruolo che sembrava definitivamente perduto dopo le politiche liberiste e le dismissioni degli anni passati. La visione strategica che è sfuggita a gran parte delle regioni del Mezzogiorno ancor più è mancata in Calabria che, protesa nel bacino commerciale del Mediterraneo, si è ritratta da ruoli e funzioni strategici per la sua stessa vitalità, per la sua competitività e quella del suo sistema economico, per la visibilità del suo brand al fine di valorizzare il turismo, l’ambiente, l’agroalimentare e i beni culturali. Ma questa visione geostrategica è mancata anche al nostro Paese, per molto tempo, proprio ora che il Mediterraneo sta tornando centrale negli interessi, non solo degli Stati che si affacciano sulle sue sponde ma anche per gli interessi di Cina, Stati Uniti, Russia, Turchia e finanche della Germania che proprio mediterranea non è. Certo il rischio che il Mezzogiorno, e ancor più le regioni più fragili all’interno di questa macroarea, resti tagliato fuori da questo riposizionamento strategico, non solo nazionale, è alto, A ben vedere, molte Regioni, dopo il primo impatto della crisi pandemica, sono tornate a programmare lo sviluppo attraverso la modulazione delle loro necessità infrastrutturali ed economico-sociali in aderenza ai piani e alle missioni dei fondi del PNRR. Per la Calabria, dove appare sempre difficile elencare tutti i nodi e i legacci che ne frenano la ripartenza, in previsione di un aumento sostanziale di risorse dovute al Piano di Resilienza, ma in assenza di progetti innovativi e di medio lungo periodo, di idee radicali e al passo con nuovi paradigmi economici, diventa fondamentale abbandonare vecchi schemi di progettualità improduttive, utili solo alla spesa, ma privi di risultati e di crescita strutturale. D’altronde abbiamo visto negli anni come, a fronte di massicce risorse dei fondi strutturali e risorse del fondo di coesione, non vi siano stati né progetti strutturali decisivi per la ripartenza del sistema economico, né una valorizzazione organica del sistema scolastico e del capitale sociale…dopotutto è triste rilevare che solo una minima parte di queste risorse sono state spese negli anni e spesso con ritorni qualitativi insufficienti. Oggi ci ritroviamo con un aumento considerevole di liquidità, sarà quindi necessario organizzare le risorse umane, politiche, imprenditoriali e sociali finalizzando idee e progetti, coordinandoli con i processi amministrativi e i tempi burocratici, vero nodo gordiano da sbrogliare in un tempo ben delimitato per avere una gestione efficiente di questo surplus di fondi a scadenza.

Spesso ci si è chiesti quali sinergie tra il settore pubblico e quello privato bisognerebbe attivare, quali orientamenti modulare per innescare circoli virtuosi in un territorio che cresce a macchia di leopardo e che spesso sembra non reagire a inefficienze e malcostume. Ma è difficile modificare vizi ben radicati, complicato recuperare ritardi e generare sviluppo quando il mondo corre a queste velocità, mentre la fotografia dello status quo pone interrogativi cronici in attesa di essere diradati. La Calabria sembra ancora arrancare, quasi inconsapevole del proprio ruolo, incapace di trainarsi fuori dal guado, nonostante risorse e opportunità notevoli. Oggi occorrono programmi precisi con risultati prospettici verificabili e sinergie realizzabili tra settori tradizionali e settori innovativi, ma soprattutto, preliminarmente, necessitano strutture, risorse umane e organizzative in seno agli enti pianificatori e decisori che a oggi appaiono insufficienti a questo ambizioso piano di infrastrutturazione. Ancor più occorrono sinergie tra il mondo accademico e della ricerca, il mondo imprenditoriale, quello finanziario e tra questi e la politica, affinché dimostri finalmente capacità gestionali e voglia di confronto nell’interesse dei territori. Ma per mettere a sistema tutte queste variabili, il che sembra difficile, bisogna rielaborare il passato in chiave prospettica, e agire nell’immediato attraverso una serie di azioni che eliminino o riducano negatività e distorsioni, nodi e vincoli allo sviluppo socio culturale ed economico dei territori e ristabiliscano priorità e virtuosismi che sembrano ancorati sullo sfondo di un’apatica resistenza al nuovo.
Oggi l’Italia non più permettersi di avere aree marginali, zavorre e colli di bottiglia che bloccano la competitività, la logistica e le infrastrutture strategiche, minando la produttività del sistema Paese, sempre più inglobato in un sistema di co-petizione internazionale che mette a rischio gli interessi nazionali.
Chi paga, chi ci guadagna, chi risponde di inefficienze e improduttività, di sprechi e di inadeguatezze, sono domande divenute oramai retorica quotidiana a cui lo Stato negli anni non ha saputo dare risposta e di cui sono piene le cronache di giornali e le inchieste della magistratura, che continua a fronteggiare fenomeni di malaffare in una sorta di guerra infinita. Le amministrazioni regionali, dovranno interagire con le economie interne, sostenendole con la fornitura di servizi innovativi, favorendo gli investimenti e la localizzazione di centri di ricerca e sviluppo sul proprio territorio, dialogando con gli atenei, spingendo l’internazionalizzazione delle imprese e la digitalizzazione dei territori, elaborando strategie di sostegno al sapere che richiede competenze e formazioni sempre più tecnologiche, costruendo ponti relazionali e commerciali anche attraverso il loro soft power. Bisogna elevare la formazione degli studenti, e la formazione degli insegnanti, la loro professionalizzazione non può non diventare una mission a cui dedicare risorse e progettualità, cercando un raccordo tra mondo del lavoro, politica e ricerca di base supportata dalla integrazione con investimenti che concentrino skills all’interno di infrastrutturazioni materiali ad hoc. I territori che riusciranno a cavalcare il cambiamento del paradigma tecnologico e si struttureranno in funzione di questo riusciranno a posizionarsi nel futuro tra le leadership regionali dello sviluppo, mettendo al sicuro il lavoro e la crescita sociale, l’attrattività dei territori e l’ottimizzazione dei loro asset, l’istruzione e la stabilità demografica. Infrastrutture e centri di ricerca, mobilità e trasporti, ma anche formazione e istruzione sono punti nevralgici del ritardo del meridione e calabrese in particolare, ed ‘è proprio da questi punti critici che bisogna partire facendoli diventare assi prioritari del mutamento. Aeroporti, porti, intermodalità e mobilità intelligente dovranno essere connessi col resto del territorio e tra i territori e le macroaree all’interno di una funzionalità estesa col sistema Paese.

È una necessità strategica, così come avvenuto nei paesi asiatici: Taiwan, Singapore, Hong Kong, Vietnam e Corea e prima in Giappone, negli Stati Uniti e nei paesi europei più industrializzati e ora soprattutto in Cina, nella cintura high tech di Shangai, dove vengono indirizzati grandi investimenti per la realizzazione di Parchi tecnologici, vere centrali di incontro tra il sapere e il saper fare. Ciò richiederà un grande progetto sistemico per tutte le regioni del Mezzogiorno che dovranno essere organiche al Sistema Paese. La rigenerazione del sistema produttivo regionale va supportata dal recupero di infrastrutturazione di base e da un complesso sistema di trasporto integrato capace, da una parte, di offrire servizi ad elevato standard, ma anche di realizzare condizioni di concentrazione high tech all’interno e all’intorno di bacini di localizzazione distrettuali, organici a settori strategici avanzati: meccanica di precisione, componentistica software, hardware, sistemi di automazione, robotica, semiconduttori, energie rinnovabili, biotecnologie, industria farmaceutica, sistemi digitali. Settori strategici e performanti se dislocati nei pressi e a supporto delle aree Zes e Ali (Zone Economiche Speciali e Aree Logistiche Integrate) per valorizzare e costituire veri e propri asset organici ai territori. Scommettere sul Mezzogiorno, sfruttando moltiplicatori differenziali di crescita, puntando su poli tecnologici delle scienze integrati a piattaforme logistiche intermodali e automatizzate è di fondamentale importanza per il Sistema Paese e l’Europa continentale. Questa regione manca di normalizzazione almeno quanto necessita di sciogliersi dal vincolo del bisogno, di abituarsi al concetto di meritocrazia, al rapporto virtuoso dei diritti legati ai doveri, di eliminare atteggiamenti e pratiche ispirate a una sorta di evoluzione tecnica del familismo amorale, di troncare la prassi del favore che sottopone al ricatto e molto altro. Se ci si emanciperà da questo allora inizieremo a incamminarci verso una normalizzazione sistemica, ritrovando quella fiducia nei rapporti tra istituzioni e cittadini, base imprescindibile per lo sviluppo e la crescita dei territori. Occorre programmare una buona Sanità che ottimizzi risorse economiche, strutturali e umane, con controlli sulle responsabilità e confronti di benchmark nazionali, una scuola meritocratica e che si interroghi prima su se stessa, che valuti i meriti dei docenti e non solo degli allievi, uno svecchiamento delle classi dirigenti e dell’amministrazione pubblica che punti su digitalizzazione e professionalità dinamiche Le tante criticità, però, non devono spaventare ma diventare motivo di analisi e di interventi, come nel dissesto idrogeologico, aggravato ogni anno da abusi edilizi e incendi dolosi, i problemi del ciclo dei rifiuti e l’inefficiente gestione dell’acqua che deve tornare in mani pubbliche. E in queste dinamiche che emerge come elemento qualificante una pianificazione istituzionale efficace che deve necessariamente coniugare le responsabilità alle scelte, la qualità dei risultati alle risorse impiegate. E queste risorse non possono non contemplare investimenti in una buona connessione di rete, una digitalizzazione diffusa che porti ad elevare la dotazione dei servizi e quindi l’attrattività localizzativa delle imprese, un’ottima infrastrutturazione e mobilità fra i territori, punto nevralgico dello sviluppo ragionato che porti a valorizzare gli asset strategici del territorio, così funzionali a quelli nazionali ed europei. Ma c’è bisogno soprattutto di una maggiore sicurezza dei luoghi, perché fino a quando non si libereranno energie positive sarà difficile innescare sviluppo e trattenere le forze attive di questa regione

Appare forse utopistico, ma anche no, sperare di invertire condizioni stratificate e comportamenti sedimentati, proporre uno slancio etico e progressista della società calabrese. Le persone hanno sempre una scelta davanti a sé e decidono con coscienza, ma bisogna sostenere la coscienza con un senso di responsabilità verso le nuove generazioni garantendo loro un futuro migliore. I fatti dell’istituto Majorana dimostrano una reazione forte da parte di giovani, studenti e società civile, le tante esperienze positive di aziende locali unitamente agli ottimi risultati della ricerca universitaria calabrese in ambiti high tech lasciano intravvedere pur tra le tante criticità che questa regione non è solo mare, cibo, montagna e cultura, lassismo e pregiudizi, ma che c’è una rete che sta crescendo nell’economia avanzata e la voglia in alcune fasce attive della società di cambiare e di pretendere diritti e legalità.
Occorre però sostenere i germi di un mutamento generazionale positivo attraverso la moralizzazione delle istituzioni che qualifichi l’azione politica, la volontà di colpire e marginalizzare certi sistemi massopoliticomafiosi che hanno caratterizzato spesso la Nazione e il Mezzogiorno in particolare, e ciò richiede un cambio di paradigma etico, civico, educativo ma non solo. È indispensabile una nuova maturità del sistema imprenditoriale locale volto a chiedere servizi e qualità dell’azione politica in cambio degli oneri dovuti e non in funzione dei favori ricevuti; ma anche un nuovo ruolo delle università, della scuola e del mondo accademico e professionale nel rivendicare una funzione di sostegno qualificato all’indirizzo programmatico dello sviluppo di questa regione. Queste non sono utopie irrealizzabili, per una regione allineata alle altre in un sistema nazionale che fa perno sul Sistema Paese, almeno se la gente è disposta a investire sul proprio futuro e se lo Stato investirà bene le risorse per un riequilibrio territoriale equo ed organico al resto del Paese. Questo richiede che ognuno faccia un passo, anche solo un piccolo passo, purché muova nella giusta direzione.

*Direttore di Krysopea Institute

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